L’ultima fatica che conclude ogni libro è, di solito, la prefazione, letteralmente un preambolo attraverso il quale l’autore – ovvero, come in questo caso, i curatori - esplicita, secondo quanto suggerisce il compunto Dizionario della Lingua Italiana Sabatini-Colletti, la genesi, gli intendimenti, i criteri metodologici dell’opera. Anche noi non intendiamo sottrarci a questa incombenza, soprattutto per spiegare la logica che ha guidato le scelte di quanti hanno partecipato, a vario titolo, alla realizzazione di questo volume. Un volume costruito in aderenza con gli impegni assunti col governatore Roberto Bianucci, desideroso di dimostrare come e quanto, nella nostra amata Toscana, abbiano agito sulla dimensione del lavoro, sulla nobile dimensione del lavoro, le quattro categorie della Tradizione, dell’amore, della bellezza e della cultura.
Il compito non è stato affatto facile. Ce ne siamo resi conto immediatamente, mentre costituivamo, grazie alla intensa passione di tanti amici lions toscani, il gruppo di…lavoro che avrebbe dovuto mettere mano alla operazione. Si trattava anzitutto di individuare coloro che, per capacità personali, conoscenza del territorio ma, soprattutto, per passione verso la propria terra e le proprie tradizioni, potevano contribuire, con lo scritto e con la forza delle immagini, a illustrare le vicende – storiche, come pure socio-antropologiche, economiche, culturali – dei tanti mestieri che avevano contribuito a connotare, nel tempo, la Toscana e i Toscani. Per questo cominciammo a setacciare i contesti in cui queste testimonianze erano state pazientemente raccolte e conservate, ossia i tanti musei del lavoro sparsi per l’intera regione. Un numero ragguardevole, se è vero che la nostra indagine ci ha portato a individuare oltre cinquanta luoghi nei quali il lavoro, secondo un antico adagio “unica e massima consolazione dell’uomo”, aveva lasciato il segno della propria indelebile impronta.
Per necessità di spazio, di tempo e anche di… vile pecunia, decidemmo allora di operare una selezione che, seppur necessaria, come sempre succede ci ha obbligato a operare scelte e, quindi, a procedere a esclusioni dolorose. Abbiamo così individuato un nucleo di mestieri – 16, in tutto – che, a nostro avviso, possono “dare il senso” autentico della toscanità, del suo essere terra antica, che sa proporsi al presente senza sottrarsi affatto alle sfide di un futuro tutt’altro che tranquillizzante.
Si è trattato di un viaggio affascinante, che ci ha messo in contatto con realtà incredibili dalle quali è emerso lo straordinario sapere che anche mestieri umili, alla apparenza banali e insignificanti per la loro ripetitività, richiedevano. E ancora continuano a richiedere. Abbiamo allora compreso perché qualcuno che, prima di noi, si era avvicinato a questi problemi aveva, puntualmente, accostato il termine stesso di mestiere a quello ben più fascinoso e impegnativo di mistero…
E poi, tra le tante, ci ha particolarmente colpito una osservazione, concordemente proposta alla nostra attenzione da molti autori: i diversi mestieri che avevamo individuato non erano affatto nati come banalissimi know how di singole prestazioni parcellizzate. Ma, all’opposto, si connotavano per il fatto che, chi li praticava solitamente conosceva perfettamente tutte le diverse fasi della attività lavorativa, possedendo così una visione d’insieme, un sapere, appunto, di cui oggi, con la segmentazione delle prestazioni – frutto di una inarrestabile e sempre più diffusa specializzazione – vi è sempre meno traccia. Il lavoratore di un tempo era dunque – lo abbiamo scoperto in corso d’opera – un vero e proprio sapiente, ossia uno che aveva assaporato, con l’esperienza e la passione, il sapore e il brivido del fare. Un sapore che avrebbe continuato a gustare, innalzando così nel tempo il livello del proprio godimento, per tutto intero il corso della sua esistenza. E, forse anche per questo, manifestava la gioia per quello che faceva. Anche se si trattava del compito più umile e socialmente meno qualificante.
Oggi molta di questa sensibilità è andata perduta. Ma non tutta. A nostro avviso, sulla base di quanto abbiamo potuto apprendere nel corso di questa ricerca, la Toscana, terra di Tradizione, ha saputo mantenere e rispettare, di più rispetto ad altri territori, la nobiltà delle origini dei lavori praticati “dalle Apuane al Chiarone”: anche di quelli che, per effetto delle innovazioni modernizzatrici, sembrerebbero le classiche mille miglia lontani dai modi di pensare e di agire del passato.
Anche per questo l’impresa, da tale punto di vista, ha rappresentato, per noi tutti che vi abbiamo partecipato, una straordinaria lezione di vita, capace di farci intendere come ogni lavoro qui considerato ieri come oggi non rappresenti semplicemente un modo qualunque di guadagnarsi la vita, quanto piuttosto l’espressione di una vera e propria armonia sociale, che si estrinseca, appunto, nella gioia consapevole del fare.
Tutti i saperi e i mestieri che abbiamo descritto in questo libro rappresentano allora – almeno questa è la nostra sensazione – l’idea di un territorio che, pur nella diversità del proprio passato, nella moltitudine dei campanili, nella permeabilità agli apporti della globalizzazione, sa comunque ritrovare nel lavoro una sorta di minimo comune denominatore dell’essere toscani, ossia uomini legati alla essenza più autentica e più antica della esistenza. Da senesi non possiamo allora non evocare lo splendido affresco col quale, ai primi del XIV secolo, Ambrogio Lorenzetti volle rappresentare, sulle pareti del Palazzo Pubblico della nostra città, gli Effetti del Buon Governo, facendo intendere a quanti hanno evangelicamente occhi per vedere come i mestieri della città e quelli della campagna si combinino perfettamente. In coerenza con una armonia sociale, ma anche economica, culturale, religiosa e politica nella quale il sapiente magister che, tra le mura cittadine, teneva la sua lectio a un auditorio di attenti e disciplinati studenti, non era affatto più importante dell’umile contadino che attendeva al lavoro dei campi, o del porcaro che conduceva all’interno della città turrita la sua “cinta senese”. Tutti, infatti, esprimevano e, ci sia consentito crederlo, continuano a esprimere l’idea di un universo coeso, unito, solidale dove ognuno è esattamente al proprio posto.
Se una cosa abbiamo imparato dopo aver indagato sulla fatica di tanti uomini che, nei secoli, hanno contribuito a fare questo territorio tra i più belli e i più amabili del mondo intero, è il senso più vero di quello splendido proverbio che trasfonde tutta la sapienza dei popoli in un semplicissimo, ma straordinariamente efficace, adagio: “Il lavoro è vita”.