Usiamo definire il primo conflitto mondiale come Grande Guerra. Sembrerebbe ingiustificato
a paragone dei numeri decisamente superiori che distinguono il secondo conflitto mondiale
(uno per tutti, 45 milioni di morti contro 16). Ma non è così. Quando, a fine luglio 1914,
si spengono le luci sull’Europa della Belle Epoque e la parola passa agli eserciti, si crea una
situazione senza precedenti nella storia dell’umanità: è la guerra totale. Non c’è ambito produttivo,
economico, sociale, civile o culturale che non venga risucchiato. La guerra, appunto,
diventa Grande. Per la prima volta.
È anche questo il segno del mondo nuovo. Pochi decenni avevano mutato radicalmente
l’aspetto del vecchio continente e mandato in soffitta “l’antico regime”. Da poco meno di 50
anni l’Europa prosperava come mai prima: sviluppo economico, innovazioni tecnologiche,
diffusione di standard di vita degni di questo nome anche nelle classi del proletariato urbano
e nelle campagne, grande spazio alla cultura e alle nuove manifestazioni artistiche come
il cinematografo. All’esposizione universale di Parigi che celebra il passaggio al nuovo secolo
si contano 50 milioni di visitatori ad ammirare gli stand di 58 paesi. Nel 1896 si celebrano,
ad Atene, le prime Olimpiadi dell’era moderna; vi partecipano quattordici nazioni e qualche
centinaio di atleti. Gli affari, i commerci, le produzioni, i movimenti finanziari, gli spostamenti,
le comunicazioni (il primo segnale radio transoceanico viene lanciato da Guglielmo
Marconi nel 1901), i viaggi di uomini e donne non più appartenenti solo alla nobiltà o alla
grande borghesia avevano creato un universo distante e diverso decisamente da quello conosciuto,
per secoli, fino alla metà degli anni Cinquanta dell’Ottocento: questo aveva generato
rapporti speciali tra gli stati a loro volta codificati con trattati diplomatici e militari. Insomma
nel nuovo secolo non era più possibile immaginare un nuovo conflitto come la guerra franco-
prussiana del 1870-1871.
Nelle nazioni belligeranti muta radicalmente il registro della vita organizzata come possono
dimostrare anche pochi esempi: dal peso via via più esclusivo del potere centrale in ogni
campo della società all’irruzione delle donne nel mondo del lavoro al salto tecnologico imposto
dalla “competizione militare” ai prodotti e ai modi di produzione. Compie i primi passi
la propaganda di massa. E, anche a prescindere dagli obiettivi di formazione dell’opinione
pubblica da parte dei governi, si fa strada un ruolo essenziale dei mezzi di comunicazione,
soprattutto nell’alimentare l’elemento interventista e lo spirito di mobilitazione dentro cui,
per quel che riguarda l’Italia, va collocata anche la stampa sportiva, in particolare “La Gazzetta
dello Sport”.
Tutto e tutti sono e si sentono coinvolti. E questo coinvolgimento determinerà mutamenti
radicali. Dalla guerra non esce solo un’Europa devastata o sconvolta nell’assetto geopolitico
(scompaiono quattro imperi, nascono nuovi stati o ne rinascono, è il caso della Polonia, di
antichi). La guerra ha agito da ineguagliabile acceleratore di cambiamenti che, con parola oggi
molto in uso, potremmo definire globali.
È allora necessario e giusto che si studi e si rifletta su tutto questo. Spingendo la ricerca
anche in quei settori che apparentemente, e solo per chi non comprende l’aspetto “totale” della
guerra, possono apparire meno centrali. Qual è appunto lo sport.
È questa la ragione che ha motivato il Comitato storico scientifico per gli anniversari di
interesse nazionale nel concedere il proprio logo al convegno “Lo sport alla Grande Guerra”
promosso dalla Società italiana di storia dello sport e dalla Società italiana di storia militare. L’Italia che entra in guerra nel 1915 è uno stato giovanissimo, i 50 anni dall’Unità erano stati
festeggiati nel 1911, e quella prova, con i suoi smisurati costi umani, l’eccezionale trasformazione
nella struttura sociale, produttiva e amministrativa, la mutazione profonda dell’architettura
politica, l’eccezionale espansione e ruolo dei giornali e dell’informazione, insomma,
quella prova segna indelebilmente la storia dell’Italia e la sua stessa identità. Merito del convegno
di Firenze è anche quello di aver inteso mettere in risalto, a partire dalla Grande Guerra,
il ruolo dello sport quale elemento di cultura nazionale e componente non trascurabile nella
costruzione di una coscienza identitaria della nazione.
Di particolare valore infine l’approccio interdisciplinare che ha caratterizzato la due giorni
fiorentina di cui la pubblicazione degli Atti servirà sicuramente ad allargare l’attenzione e
la conoscenza. Anche per lo sport e, più in generale per la pratica sportiva, nel suo senso e
nella sua articolazione, la Grande Guerra ha rappresentato un decisivo spartiacque. Come per
il resto della società.