Italia e Francia durante la crisi militare dell’Asse (1942-1943)

L’ombra di Berlino sui rapporti diplomatici fra Italia fascista e Francia di Vichy
- Autore: Massimo Borgogni
- Anno: 1994
- Formato: 17 x 23,5 cm.
- Pagine: 368 pp.
- ISBN: 88-7145-084-1
L’ombra di Berlino sui rapporti diplomatici fra Italia fascista e Francia di Vichy
La politica estera dell’Italia negli anni precedenti il coinvolgimento nel secondo conflitto mondiale fu caratterizzata da una profonda contraddizione: da un lato, un piano imperialistico esteso; dall’altro, l’assoluta inadeguatezza dei mezzi a disposizione, sia militari che diplomatici, per realizzare tale programma (1). Questa incoerenza, che paradossalmente non avrebbe subito mutamenti di rilievo né al momento dell’entrata in guerra, né davanti alle sconfitte militari ed alla progressiva perdita di prestigio e di peso politico del Paese, si manifestò anche nel caso specifico dei rapporti italo-francesi.
Dal giugno 1940, secondo De Felice, “tutta la politica di Mussolini verso la Francia, se ebbe tra le sue motivazioni la duplice preoccupazione di rendere in tutti i modi difficile una riconciliazione tra la Germania e la Francia e di cercare di contenere la spinta tedesca ad insediarsi nel Nord Africa francese, ebbe soprattutto - almeno fino a quando la situazione militare glielo permise - l’obiettivo di punire la Francia, di non rinunciare ai “sacrosanti” diritti italiani e, possibilmente, di assicurarseli ancor prima della pace” (2).
Questa tesi non può essere che condivisa. Mussolini, il principale artefice delle scelte politico-diplomatiche e militari dell’Italia fascista, dell’armistizio in poi, non perse la speranza di poter realizzare il programma di rivendicazioni territoriali nei confronti della Francia benché intervenissero profonde modifiche nella situazione internazionale, che avrebbero finito per ridimensionare progressivamente il ruolo stesso dell’Italia. Il criterio con il quale il duce impostò i rapporti tra l’Italia e la “sorella latina” (che dopo la fine delle ostilità furono tenuti per il tramite della Commissione Italiana d’Armistizio e dalla Delegazione francese, entrambe con sede a Torino, e attraverso la Delegazione economica francese di Roma) si basava esclusivamente su questa logica. Tale impostazione non venne meno neppure con la campagna di Grecia, quando svanirono tutte le aspettative italiane di poter condurre una “guerra parallela” a quella della Germania; il Capo del governo fascista continuò infatti a sperare di poter attuare ugualmente il proprio piano di espansione ai danni della Francia (cessione di Nizza, della Corsica, della Tunisia e della Somalia francese) servendosi della macchina bellica tedesca e grazie al suo rapporto personale con il Führer. Le relazioni italo-tedesche, tuttavia, sembrarono incrinarsi più di una volta a causa della posizione assunta dal governo del Reich di fronte alla “rivoluzione nazionale” francese, alla politica di collaborazione proposta da Laval ed alle concessioni dei tedeschi in Africa Settentrionale: tutti fatti, questi, che evocarono ripetutamente a Mussolini lo “spettro” di un’intesa franco-germanica ai danni dell’Italia (3).
La politica estera della Francia di Vichy, d’altra parte, oscillò continuamente fra due tendenze principali. Da una parte i fautori di quella attendista, pur sperando, a guerra conclusa, di poter riportare il paese ai vertici mondiali, cercavano di non impegnarsi a fondo in nessuno dei due schieramenti fintanto che non si fosse delineata chiaramente la sconfitta di uno dei contendenti; dall’altra i collaborazionisti filo-germanici, credevano realmente in una vittoria dell’Asse e contavano di recuperare il prestigio perduto a fianco della Germania nazista. Alle due “anime” che ispiravano l’azione diplomatica francese era tuttavia comune il desiderio di salvaguardare il territorio metropolitano e l’Impero coloniale e, soprattutto, in caso di vittoria dell’Asse, la speranza di dover cedere all’Italia il minimo indispensabile, grazie alla mediazione tedesca: un’aspettativa che assieme al sentimento di ostilità verso l’Italia per la “pugnalata alla schiena” del giugno del 1940, finì per influenzare le relazioni del governo francese con Roma ponendole continuamente su un piano di estrema precarietà (4).