Gettatelli e pellegrini

Gettatelli e pellegrini Ingrandisci

Gli affreschi nella sala del Pellegrinaio dell’Ospedale di Santa Maria della Scala di Siena

Maggiori dettagli

  • Autore: Alessandro Orlandini prefazione di Giovanni Cherubini
  • Anno: 1997
  • Formato: 14 x 21 cm.
  • Pagine: 98 pp., ill.
  • ISBN: 88-7145-134-1

5,00 €

10 Articoli disponibili

Se di ogni opera d’arte ci si può non limitare a esprimere valutazioni puramente estetiche – e per la verità non lo si fa più –, ma si deve invece valutare il contesto culturale, sociale, politico in cui l’autore si è trovato a vivere, il ruolo del committente e del pubblico, le tradizioni artistiche e la formazione dell’artista, non c’è tuttavia alcun dubbio che certi prodotti – ci limitiamo in questo caso alla pittura – molto meglio di altri si prestano a essere letti con occhi attenti non soltanto al risultato e alla valutazione estetica, ma anche alla storia di un’istituzione, di un’attività particolare, di un’intera società, degli ideali e dei programmi dei committenti. Questo si verifica naturalmente soprattutto in quei casi in cui si sia in presenza di una narrazione diffusa dell’opera d’arte – un complesso di affreschi vale meglio di una tavola, le scene di una predella meglio delle figure che campeggiano nel quadro vero e proprio –, e si sia anche in presenza di un messaggio chiaramente percepibile dai contemporanei.

Una condizione di questo genere si verifica appunto negli stupendi affreschi della sala del Pellegrinaio dell’Ospedale di Santa Maria della Scala di Siena, che possono così ben costituire un’occasione privilegiata per un itinerario didattico, per un turismo scolastico non banale, ma teso invece a far cogliere dell’opera d’arte tutti i messaggi possibili, tutte le implicazioni, costruendovi intorno, come appunto viene proposto in questo volume di una collana che si vorrebbe densa di titoli, una piacevole lettura del passato confrontando immagini e documenti scritti, ed esercitandosi poi a utilizzare il proprio acume critico e la propria fantasia.

Perché, sia detto subito, gli affreschi del Pellegrinaio si prestano in sommo grado a una lettura molto profonda, ricca di sfaccettature, affascinante, del Medioevo al tramonto. I muri che li conservano appartengono a una gloriosa istituzione ospedaliera, che ebbe sin dalle origini un ruolo importantissimo nella vita della città di Siena, ma che rappresentò anche una sorta di modello da ammirare per molti forestieri, per molte altre città o Stati. La sua polifunzionalità, un po’ diversa dal carattere, diciamo così, più specialistico che assunsero col tempo gli ospedali della vicina e rivale città di Firenze – si pensi, in primo luogo, all’Ospedale degli Innocenti – consente di meglio cogliere i caratteri tradizionali dell’ospedale medievale: luogo di cura dell’ammalato, luogo di accoglienza dei bambini abbandonati, ma anche tetto sotto cui vanno a ripararsi, a chiedere un letto e un pasto poveri e pellegrini. Tutto questo evoca il Medioevo delle infinite povertà, della vecchiaia solitaria, delle malattie prodotte dalle carenze alimentari, dalla mancanza d’igiene, dalle mille promiscuità, dall’impotenza della medicina, il Medioevo segnato dal drammatico e frequentissimo abbandono dei figli da parte dei genitori troppo poveri o di ragazze madri (e dietro a questi abbandoni bisogna altresì leggere anche la pratica dei procurati aborti e dell’infanticidio). Ma anche il Medioevo del fervore religioso, dei gruppi dei pellegrini che battono le strade, mossi insieme da un richiamo interiore verso luoghi in cui si spera di lavare una colpa o di esaudire un voto, e da un desiderio – altrettanto forte – di evadere dal cerchio circoscritto della propria vita quotidiana, per visitare nuove chiese, nuovi luoghi, nuove città, affrontando per questo fatiche e pericoli.

Ma l’Ospedale della Scala, e gli affreschi del Pellegrinaio in primissimo luogo, ci parla anche di un altro Medioevo, anzi di un Medioevo al tramonto, che è come l’aurora di un nuovo tempo. Nelle pitture la vita dell’Ospedale appare quanto mai ordinata, un po’ perché questo è l’ideale dei committenti, ma un po’ anche perché questa era la realtà effettiva – ogni opera d’arte, sia detto per inciso, come del resto anche ogni prodotto letterario, può e deve essere letta sotto il duplice punto di vista di ciò che essa si propone e della sua capacità di rappresentazione –; al tempo della realizzazione degli affreschi non soltanto si era ormai affermato l’intervento pubblico nella gestione della spedalità – il che, non necessariamente, voleva dire esclusione del più tradizionale ruolo della carità – ma era anche venuto emergendo se non proprio il concetto di pubblico servizio dell’ospedale, almeno qualcosa che gli assomigliava o lo preannunziava, mentre a fianco dell’assistenza tradizionale si era venuto rafforzando il posto della cura della malattia ed era emersa una nuova attenzione per l’igiene, la pulizia, l’alimentazione.

Ma l’aspetto didatticamente più utile di questo volumetto è costituito dalla possibilità di accostare la rappresentazione artistica con i documenti d’archivio e su questo accostamento costruire poi una serie di proprie personali risposte da parte dei giovani visitatori, che possono condurli a una prima, avvincente esperienza di ricerca storica pluridisciplinare. E di ricerca storica che metta in azione, dato la tematica degli affreschi e delle fonti scritte di corredo, sia la loro capacità di osservazione, di valutazione critica, di fantasia, sia l’inevitabile propensione a ricomporre un quadro complesso di realtà materiali, di strutture sociali, di istituzioni, di orientamenti ideali.

  • Autore Alessandro Orlandini prefazione di Giovanni Cherubini
  • Anno 1997
  • Formato 14 x 21 cm.
  • Pagine 98 pp., ill.
  • ISBN 88-7145-134-1