BIOGEOGRAPHIA

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Lavori della Società italiana di Biogeografia nuova serie - vol. XXVIII-2007

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  • Anno: 2007
  • Formato: 17 x 24 cm.
  • Pagine: 648 pp., ill
  • ISBN: 978-88-7145-298-2

15,00 €

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La distribuzione degli organismi dipende da fattori ecologici, cioè dalle caratteristiche dell’ambiente e dalle interazioni fra organismi e comunità, e da fattori biogeografici, cioè dalla maggiore o minore possibilità per una specie di raggiungere un ambiente adatto a essa. L’elevata diversità floristica dell’Italia si correla a una grande complessità di tipologie litologiche, morfologiche e climatiche e alla storia paleogeografica e paleoclimatica che ha favorito l’insediamento di complessi floristici di origini molto diverse.

L’area mediterranea rappresenta la porzione sud-occidentale della regione paleartica ed è compresa tra la zona di transizione saharo-sindica a sud, l’area caucaso- turanica a est e l’Europa centrale a nord. Si tratta di un’area complessa che è stata interessata dalle trasformazioni del bacino della Tetide, dalle diverse fasi orogenetiche, dalla formazione del Mediterraneo, dallo spostamento di placche di varia estensione, dalla vasta emersione di terre durante il Messiniano e dalle glaciazioni del Pleistocene. A titolo esemplificativo è sufficiente ricordare la storia biogeografica della Sardegna che apparteneva, insieme a parte della Corsica e alle Baleari, a una zolla corrispondente circa alle attuali Spagna e Francia, dalle quali si è staccata soltanto all’inizio del Miocene. Ciò ha determinato la presenza di numerose disgiunzioni o vicarianze sardo-balearico-iberiche, come pure di paleondemismi relitti grazie alla sua relativa stabilità tettonica (Arrigoni, 1980).

Nel Pliocene gli Appennini più che una catena continua costituivano un arcipelago di grandi isole e di questo isolamento si hanno ancora tracce nella flora.

Agli Appennini appartengono anche i monti della Sicilia settentrionale mentre la Calabria (insieme con i Monti Peloritani in Sicilia) costituisce un frammento geo-litologico della catena alpina. La storia della Calabria può contribuire a spiegare alcune notevoli disgiunzioni (Genista anglica L., specie dell’Europa atlantica che ricompare in Calabria, Alnus cordata (Loisel.) Desf. e Pinus nigra J.F. Arnold subsp. laricio Maire, entrambi disgiunti fra Appennino meridionale e Corsica).

Nel Messiniano, il già citato disseccamento del Mediterraneo non si è limitato alla creazione di “ponti” geografici: la crisi climatica ha anche spinto lungo queste nuove vie di comunicazione specie steppiche o xerofile o alofile (Bocquet et al., 1978).

Gli arbusti spinosi delle alte montagne mediterranee presentano notevoli vicarianze; le specie delle rupi marittime sono collegate a specie di ambiente desertico montano dell’Asia centrale; le piante alofile dei nostri ambienti a suolo salato sono strettamente affini a specie desertiche del Medio Oriente e dell’Asia (Pignatti, 1994).

Gli eventi risalenti al Terziario, seppur spesso ancora leggibili nel paesaggio vegetale attuale, mantengono tracce limitate se comparati all’enorme impatto esercitato in epoca molto più recente dalle glaciazioni del Quaternario.

I macrofossili e i dati palinologici mostrano chiaramente che l’impo ve - rimento in termini di specie legnose è dovuto agli eventi glaciali. La povertà della flora legnosa europea rispetto a quella nordamericana si potrebbe spie- gare con il fatto che l’Europa meridionale è immediatamente bordata dai deserti nordafricani, pertanto l’area permanentemente forestata durante le diverse fluttuazioni climatiche era molto piccola.

La flora italiana mostra anche interessanti elementi di originalità legati alla presenza di relitti glaciali. Specie a corologia ed ecologia boreale/alpina si possono trovare, infatti, anche a quote molto basse. Le zone umide della costa toscana fra la Versilia e la Foce dell’Arno ospitano Drosera rotundifolia L., Eriophorum gracile Koch ex Roth, Rynchospora alba (L.) Vahl. ecc. (Giacomini, 1958).

Il prosciugamento dell’Adriatico, almeno fin quasi all’altezza del Gargano spiega la grande somiglianza floristica e vegetazionale fra l’Appennino e i Balcani. Numerosissimi, infatti, i casi di disgiunzioni transadriatiche (Montelucci, 1972; Pignatti, 1982; Conti, 1998), particolarmente vistose nel caso di specie arboree o arbustive. In alcuni casi il subareale italiano di queste fanerofite ha carattere relittuale (Quercus trojana Webb, Quercus ithaburensis Decne. subsp. macrolepis (Kotschy) Hedge & Yalt., Styrax officinalis L.), ma più spesso accade che queste legnose balcaniche rivestano anche da noi un ruolo importante nella vegetazione (Quercus frainetto Ten., Carpinus orientalis Miller, Paliurus spina-christi Miller, Cercis siliquastrum L.).

Nell’ambito della biogeografia, la “fitogeografia descrittiva” studia i pattern distributivi attuali delle flore. I suoi due riferimenti più importanti sono le “aree floristiche”, cioè le unità di territorio dotate di una flora caratteristica e i “corotipi”, o elementi floristici a cui fanno riferimento gruppi di specie con un medesimo areale (McLaughlin, 1994). Una “regionalizzazione fitogeografica” è dunque la suddivisione di un dato territorio in “aree floristiche” o “unità fitogeografiche” (Thaler e Plowright, 1973). Tali unità floristiche vanno delimitate tramite l’accumulo di linee di confine di areali di taxa e pertanto non è rilevante la coincidenza o meno di tali limiti con eventuali linee di anisotropia ambientale (Zunino e Zullini, 1995). La regionalizzazione biogeografica è pertanto un processo fenetico, basato sull’analisi della distribuzione degli organismi. L’interpretazione causale dei patterns, cioè la ricerca di spiegazioni ecologiche e storiche, deve avvenire successivamente. È proprio l’indipendenza fra i processi di regionalizzazione ecologica (basati su caratteristiche abiotiche dell’ambiente, quali la litologia o la bioclimatologia (Klijn, Udo de Haes, 1994; Blasi et al., 2000; Blasi et al., 2004) e quelli di regionalizzazione biogeografica, basati sull’analisi dell’occupazione dello spazio da parte degli organismi, a rendere possibile e significativo il successivo confronto fra le due cartografie, e a evitare il rischio di ragionamenti circolari.

In anni recenti, tuttavia, l’espressione “regionalizzazione biogeografica” è stata spesso usata in letteratura per indicare regionalizzazioni puramente o prevalentemente ecologiche: l’esempio più noto è quello delle “regioni biogeografiche” della Direttiva Habitat, che in realtà sono state definite “in base a molteplici elementi in grado di condizionare la distribuzione geografica delle specie”. Si hanno inoltre casi in cui sotto il nome di regionalizzazioni biogeografiche vengono presentate unità ricavate attraverso procedimenti che tengono conto sia della distribuzione degli organismi sia delle caratteristiche dell’ambiente fisico (Rivas- Martinez et al., 1997; Lawesson e Skov, 2002; Xie et al., 2004). Procedura che può trovare una sua motivazione scientifica nel fatto che le attuali conoscenze sulla distribuzione delle flore a scala locale permettono di associare alle diverse unità territoriali una determinata caratterizzazione fitogeografica. È anche opportuno segnalare l’enorme informazione floristica accumulata dall’inizio del XX secolo con l’adozione in Europa del rilevamento fitosociologico della vegetazione.

Grande importanza hanno pertanto le banche dati fitosociologiche, interpretate e valutate prevalentemente in termini sintassonomici e floristici, specialmente se relative a contesti territoriali eterogenei in termini ecologici e climatici.

Sulla base di queste premesse, una regionalizzazione fitogeografica in senso stretto, vale a dire una regionalizzazione biogeografica da effettuarsi su base floristica, svolta con metodologie quantitative, avrebbe bisogno come dato di partenza di un atlante distributivo di tutte le piante vascolari dell’area in esame, con celle di forma e dimensioni tali da garantire una certa eterogeneità ecologica al loro interno (Baroni Urbani et al., 1978; Audisio et al., 1995). Le celle andrebbero poi riunite in “aree floristiche” elaborandole sulla base della presenza/ assenza delle specie (Crovello, 1981; Wohlgemuth, 1996).

Poiché raramente dati di questo genere sono disponibili e poiché qualsiasi atlante attualmente realizzato sarebbe comunque fortemente influenzato dal secolare disturbo antropico molte regionalizzazioni fitogeografiche hanno seguito altre strade (McLaughlin, 1994): – giudizio dell’esperto, che utilizza, senza procedure di analisi quantitativa, flore locali e monografie relative alla distribuzione di singoli taxa (Takhtajan, 1986; Poldini, 1987); – utilizzo di dati vegetazionali (distribuzione di syntaxa o di comunità vegetali) (Pedrotti, 1996); – elaborazione di flore basate su unità amministrative, trattando queste ultime come “celle” (Lawesson e Skov, 2002); – analisi multivariata di un congruo numero di flore locali discrete, con interpolazione dei limiti fitogeografici fra le stesse (McLaughlin, 1989).

Per il territorio italiano, le carte disponibili – a scale molto piccole – appartengono tutte al primo tipo (Giacomini, 1958; Arrigoni, 1980; Rivas-Martinez et al., 2001), tranne il sopra citato lavoro di Pedrotti (1996). Tra le cartografie citate quella di Rivas-Martinez è la più interessante in quanto si colloca in una posizione intermedia e, vista la piccola scala adottata, riesce meglio a integrare l’informazione di carattere floristico con le conoscenze sulla vegetazione potenziale e sulla bioclimatologia d’Europa.

  • Anno 2007
  • Formato 17 x 24 cm.
  • Pagine 648 pp., ill
  • ISBN 978-88-7145-298-2