Vulci - Canino - Ischia - Farnese

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Città e necropoli d’Etruria

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  • Autore: George Dennis a cura di Franco Cambi
  • Anno: 2005 - 2a ed.
  • Formato: 14 x 21 cm.
  • Pagine: 64 pp. ill.
  • ISBN: 88-7145-053-7

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L’antica città sorgeva a 12 chilometri dal mare, sulla riva destra del fiume Fiora. Ma chi cercasse oggi di distinguerne i resti monumentali, le mura di cinta o i templi, nel bassopiano desolato, resterebbe deluso. Giungendo da Montalto di Castro, le uniche costruzioni caratterizzate da monumentalità nella campagna sono il suggestivo Ponte della Badia, etrusco ma restaurato in epoca romana e medievale, e l’omonimo castello, che oggi ospita l’Antiquarium.

“Una campagna spoglia e ondulata”: è la descrizione che George Dennis dà del sito. Eppure Vulci, una delle più grandi città dell’Italia pre-romana, era stata insieme con Caere e Tarquinia una delle metropoli dell’Etruria meridionale costiera. Il suo destino è stato per secoli ingrato: oggi si conoscono a sufficienza gli immensi tesori custoditi nelle necropoli circostanti ma poco si sa dell’assetto e dell’organizzazione urbanistica dell’abitato. I resti visibili entro la superficie racchiusa dal tracciato delle mura si limitano all’asse viario principale di età romana (il decumano), al tempio detto “Grande”, a una domus costruita nella tarda età repubblicana (II-I secolo a.C.), al mitreo tardo-antico. Poco, per una grande metropoli, e soprattutto niente che si riferisca alle fasi di massimo splendore, tra il VII e il IV secolo a.C. 1

Al contrario, nonostante il sistematico saccheggio di cui sono oggetto da ormai due secoli, è dalle tombe che l’archeologia ha tratto i documenti per ricostruire la storia di Vulci. Le necropoli, dette “Osteria”, “Polledrara”, “Cuccumella”, “Mandrione di Cavalupo”, “Camposcala”, “Poggio Maremma”, “Campomorto”, hanno restituito oggetti che sono andati ad arricchire importanti musei, italiani e stranieri 2.

Vulci è indagata in modo estensivo solo da pochi anni. Essa potrà finalmente essere, in seguito a uno scavo globale, un caso esemplare, e aperto al pubblico, di metropoli dell’Etruria meridionale costiera (ciò che è molto più difficile a Caere e a Tarquinia, condizionate da fenomeni di ulteriore urbanizzazione nelle epoche successive). Anche il territorio dell’antica città sembra sproporzionato se confrontato con l’esiguità delle conoscenze sul centro. Vulci dominò sulle valli del Fiora e dell’Albegna, fra il promontorio del Monte Argentario, le prime pendici del Monte Amiata e la sponda sud-occidentale del lago di Bolsena 3.

Il nome antico di Vulci è tutt’altro che sicuro (Velch-?) 4. Delle vicende relative alla città le fonti antiche ricordano soltanto la conquista romana: nel 280 a.C. gli eserciti di Vulci e dell’alleata Volsinii furono definitivamente sconfitti dall’armata del console Tiberio Coruncanio. Il geografo Tolomeo (III, 1, 43-49), nel I secolo a.C. accenna brevemente alla città. Strabone (5, 2, 8) ricorda semplicemente il mito che voleva l’abitato di Regae, antico porto di Vulci, fondata da Maleos, leggendario re dei Pelasgi. Nel I secolo d.C. la rinomanza di Vulci doveva essere ormai un pallido ricordo, tanto che lo scienziato Plinio il Vecchio dovette parlarne per distinguere la popolazione di Vulci nell’Etruria dagli abitanti di Volcei, in Lucania (Naturalis Historia, 3, 51-52). Arnobio (Adversus Nationes 6, 7), nel IV secolo d.C., riporta la vecchia storia del ritrovamento della testa di un certo Olo di Vulci presso il tempio di Giove Capitolino, a Roma: una leggenda, con cui si voleva stabilire un nesso fra il nome del Campidoglio (Caput Oli) e l’epoca della costruzione del tempio, quando una dinastia etrusca regnava su Roma (VI secolo a.C.).

Con la tarda antichità di Vulci si perde anche il nome, per molti secoli. Il toponimo, nuovamente citato dal primo “etruscologo” moderno, Annio da Viterbo, nel XV secolo, sarà ricollegato al sito soltanto nel 1778, quando F.A. Turriozzi identificherà Vulci nella località detta “Pian di Voci”, sulla sponda destra del Fiora. Negli anni successivi cominciano gli scavi del cardinale Pallotta presso il Ponte della Badia (1783) 5. In precedenza, soltanto L. Holstein aveva riconosciuto e localizzato le rovine di Vulci, nel suo studio ricostruttivo della viabilità antica, a completamento della Italia Antiqua di P. Clüver. Il confronto fra gli studiosi del tempo sulla localizzazione di Vulci avrà termine soltanto nel 1835, con il rinvenimento sul sito di un’iscrizione latina di età imperiale dedicata dall’ordo et populus Vulcentium a Flavio Valerio Severo (CIL XI, 2928).

In questo periodo al carattere erudito e descrittivo delle opere dei viaggiatori del ’700, che si potrebbero in certa misura definire topografiche, si sostituisce una curiosità più spiccata per gli oggetti antichi, sempre più numerosi provenienti dagli scavi intrapresi in vari luoghi del Mediterraneo. All’aspetto propriamente scientifico connesso con la nascita di una scienza liberatasi dalle fantasticherie dotte dell’età barocca e approdata alle sperimentazioni dell’Illuminismo, che daranno i loro frutti soprattutto a partire dagli anni ’20 dell’Ottocento, si unisce l’aspetto ideologico legato alla profonda impressione che la scoperta di importanti manufatti e monumenti antichi stava suscitando nella cultura europea dell’epoca. Si pensi soltanto al nesso che si stabilirà fra la campagna napoleonica in Egitto e certe decorazioni parietali nelle dimore del futuro imperatore o alle conoscenze antiquarie manifestate da David nel dipingere Il giuramento degli Orazi.

  • Autore George Dennis a cura di Franco Cambi
  • Anno 2005 - 2a ed.
  • Formato 14 x 21 cm.
  • Pagine 64 pp. ill.
  • ISBN 88-7145-053-7